Nel mondo sconcertante dell’editoria è quanto mai difficile
trovare un libro che non sia best seller, best price, best autor, o che in
qualche modo non sia conosciuto dalla massa di quelli che in libreria ci
entrano solo col carrello della Coop.
Bene, avrei potuto io non scovare ciò che a questa massa
ancora non è noto? Ma certo che no. E
allora ecco a voi un piccolo gioiello:
Premessa: questo libro non è sicuramente una novità nel
panorama editoriale. Non lo troverete né tra i più letti, né tantomeno tra i
classici, semplicemente ritengo sia degno di nota, e quindi ho deciso di
riportarvene la mia critica a riguardo.
Il mio incontro con Cose viste nasce in realtà dalla
decisione di approfondire meglio la figura di Irene Brin, personalità che, a
meno che non si ami o si conosca il giornalismo di moda, può sfuggire ai più.
Irene, vero nome Maria Vittoria, è stata una delle prime
grandi giornaliste italiane di moda e costume, ma prima di tutto è stata una
donna di grande intelligenza e stile.
Colta, brillante ed attenta aveva cominciato a firmare, all’inizio degli
anni ’30, brevi articoli della rubrica “Incontri di viaggio” de Il Lavoro, quotidiano
genovese, sempre utilizzando i più svariati pseudonimi di cui Irene Brin è
certamente il più famoso. La nostra
Irene non poteva di certo sapere che di li a pochi anni avrebbe compiuto il
salto di qualità, scrivendo per l’Omnibus diretto dal grande giornalista Leo
Longanesi e collaborando più avanti con Diana Vreeland, all’epoca direttrice di
Harper’s Bazaar .
In quegli anni la moda era ancora un settore alla ricerca di
figure nuove ed innovazione,lontano da ciò che rappresenta oggi il
fashion system; c’era molto da vedere e molto si sarebbe visto.
In questo quadro ancora da completare, Irene Brin si
presentava come una penna arguta e mai banale, niente nella sua scrittura era
prevedibile, se non la sua delicatezza nel delineare ciò che i costumi
dell’epoca le offrivano, una contemporaneità colma di mutamenti sociali e nuove
tendenze. Con incredibile attualità dipingeva le nuove forme della moda,
criticando l’uso eccessivo del nero ed incitando al colore, descrivendo nuove
mises come fossero piccoli oggetti di
valore, senza mai perdere quel suo piglio lieve ed elegante.
Eleganza
è anche tutto ciò, saper esprimersi senza mai essere scontati, riuscire a
cogliere la bellezza e saperla riportare con sguardo attento e garbato.
Con questo spirito, Irene Brin ha steso Cose Viste,
brevissime esperienze di vita mondana, di una borghesia romana dedita allo
svago fra tè intellettuali al Caffè Camilloni, ritrovi danzanti e manicure
chiacchierine, ma anche uno sguardo ironico e leggero sugli anni che avrebbero
preceduto il secondo conflitto mondiale; come la definì un suo ammiratore nel
racconto “Un commendatore da Rosati” , ella riuscì ad essere “dolce e
brillante” prima della tragedia.
Cose viste scorre via piacevolmente, un momento si è al
“cine Savoia” ed un attimo dopo ci si ritrova sul terrazzo della Pensione
Bellavista a conversare con marchese e baronetti. Le parole sfuggono oltre una
serie d' immagini che pare quasi di vivere, talmente semplici nella loro
quotidianità di sempre, descritte con animo modesto e fintamente ingenuo.
Un affresco romano sulla vita borghese apparentemente
disinteressata e frivola, una lettura gradevole, sfumata e squisita.
Parola de
La Critical.
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