mercoledì 29 maggio 2013

L'arte orafa di Elisabetta Comotto

Rispetto una certa coerenza metereologica mentre scrivo questo post, visto che il pomeriggio in cui ho conosciuto Elisabetta Comotto, orafa di 27 anni, pioveva a dirotto, esattamente come oggi. E’ giovanissima, e all'interno del suo laboratorio genovese in Via degli orefici porta avanti un’arte che arriva dalla cultura etrusca. Si è abituati ad associare l’immagine dell’orafo a signori segnati dall'età e dal lavoro, chini sui loro strumenti, magari anche poco sorridenti. E allora è una sorpresa conoscere Elisabetta, entrare nel suo laboratorio e farsi illustrare alcune fasi del lavoro mentre ti racconta come è nata questa sua passione. 




La storia inizia dieci anni fa, quando segue il corso di oreficeria dell’Istituto d’Arte di Chiavari. Nel frattempo viene presa come stagista all'interno del laboratorio in cui si trova ora, che una volta si chiamava “O scagno di fraveghi” , termine che in genovese significa l’ufficio degli orafi. “Qui c’era il Signor Sasso, allievo di Pietro Sforza, il famoso orafo e scultore che a Genova aveva portato la lavorazione dell’oro verde, una lega ottenuta utilizzando una percentuale di rame ed argento diversa dalla composizione dell’oro giallo.” I mesi nel laboratorio diventano anni, e alla fine Elisabetta accetta di rilevare l’attività. Quando le chiedo cosa ha significato per lei avere l’opportunità di affiancare dei maestri di questo mestiere mi sorride, quasi le brillano gli occhi – “mi hanno passato tutti gli antichi trucchi che usavano gli orafi, quelli che lavoravano proprio con un chiodo ed un martello, quindi mi hanno insegnato ad arrangiarmi in qualunque situazione a prescindere dagli strumenti. Amo usare i mezzi più antichi e non le nuove tecnologie, perché la mia impostazione è stata questa”. 

Alle pareti noto alcune immagini di chi le ha passato il testimone, mentre mi aggiro tra stampi, ferri e barattoli con etichette come “carabattole “ e “cazzabubbole”. Elisabetta si siede al posto di comando, meglio definito come il banco da orafo, costruito su più livelli – “è antichissimo” – mi spiega – “il cassetto inferiore serve a raccogliere la limatura, quindi tutto quello che cade all'interno del banco si può recuperare, rifondere e ritrasformare in gioiello. Mando questi recuperi alla fonderia di Valenza e mi faccio rispedire il metallo puro”.

Poi tocca a me. E’ necessario raddrizzare bene un filo di metallo, così Elisabetta lo inserisce in una trafila e mi da un paio di enormi pinze di ferro con cui tirare il tutto. Vi basti sapere che rischio di staccarmi una mano, ma vittoriosa riesco nel mio intento. Più in la c’è forno che permette la fusione a cera persa (la stessa tecnica utilizzata per i Bronzi di Riace), attraverso cui si creano i prototipi dei monili. Per avere un gioiello personalizzato basta venire nel suo laboratorio, altrimenti alcune gioiellerie rivendono le sue creazioni.






Elisabetta si muove con disinvoltura in questa bottega di storia ed oggetti, il tempo pare essersi arrestato in una contesto antico e prezioso dove ogni gioiello è il frutto di equilibrio estetico e grande manualità. Qui convivono due anime: una legata alla nuova generazione e ad un concetto di bellezza rivisitata in chiave contemporanea, l’altra fondata sulla tradizione e su coloro che l’hanno tramandata nei secoli. Una cultura densa di simbologie e significati; un patrimonio di arte e conoscenza che è importante custodire, coltivare e trasmettere. 

Quelle trascorse nel laboratorio sono state due ore intense. Mi sono avvicinata ad una realtà che ancora non conoscevo, tentando di coglierne lo spirito ho provato a riportarvi la mia esperienza, come quando alle elementari mi chiedevano “racconta cosa ti è piaciuto di più delle tue vacanze”. Adesso scriverei che la vacanza è stata breve, ma che la consiglio a tutti, se ne esce rinvigoriti e interiormente arricchiti, un vero affare.




Comotto Gioielli: Via degli orefici 6/6, dal lunedì al venerdì dalle 9.30 alle 12.30 e 14.30-18. 

Foto: Valeria Piazzi













venerdì 19 aprile 2013

Ci vediamo in Salotto

Genova, Canneto il Lungo 67/69r, segnatevi l’indirizzo perché qui si trova Il Salotto. Non posso chiamare questo luogo “negozio” perché sarebbe riduttivo, preferisco affiancare l’immagine di questo spazio all'idea di un atelier dove sorseggiare il tè delle 5 (o la birretta delle 6), mentre si provano gli abiti esposti. 









Ma torniamo alle origini. Sara Busiri Vici è una trentenne che arriva a Genova lasciandosi alle spalle dieci anni di ufficio stampa milanese, giunge nella Superba col desiderio di conciliare un lavoro nuovo con l’amore per gli abiti e la creatività. Nella sua mente ritorna l’immaginario dei film anni '50, quelli in cui aggraziate silhouette femminili passeggiano per gli atelier di moda scivolando in abiti splendidi. Poco più in la c’è Matteo Brizio, altro trentenne con altre esperienze; un passato alla Facoltà di Architettura, la passione per il design di moda che lo porta anche a Londra, i figurini e le prime magliette con la sua firma. Due figure, quelle di Sara e Matteo, che si uniscono professionalmente per dar vita ad uno spazio, Il Salotto, “in cui lo shopping diventa esperienza rilassante e stimolante, con un servizio più personalizzato”, come mi sintetizza Sara. 

Il Salotto è un ambiente intimo: c’è un divanetto color lampone su cui accomodarsi, luci che illuminano le pareti con i disegni di Fabio Moro, le fragranze di Nobile da abbinare ai capi proposti, i gioielli di Viola Pisenti per arricchire il look e molti abiti, scelti da Sara chiedendosi “cosa indosserei io?”. In quest’atmosfera accogliente e frizzante s’incontrano diverse esperienze creative, per sottolineare ancora una volta come l’unione di forme d’arte possa rinfrescare ed arricchire un luogo, ancor più se questo è pensato per esser piacevole aldilà dell’acquisto. Dietro all'allestimento de Il Salotto c’è lo Studio Gosplan, nato e gestito da giovani architetti genovesi che hanno messo a disposizione le loro competenze per dar nuova vita e valore a questo spazio. Rivolti ad un target che va dai 15 a 70 anni, i capi esposti appartengono ai brand più svariati, alcuni emergenti italiani e stranieri, altri già consolidati sul mercato, ma sempre scelti in un’ottica più “emotiva” che commerciale, rispettando un valido rapporto qualità-prezzo. Si trovano pezzi da tutti i giorni, che possono vestirci dal cappuccino all'aperitivo,  ma anche capi da indossare con in mano una coppa di champagne, sempre che con questo non ci facciate colazione. 

Tra qualche settimana uscirà la collezione Bryzio, disegnata da Matteo, un buon motivo per tornare e sederci in Salotto.



Orari: lunedì 15.30-19.30, dal martedì al sabato 9.30-19.30, domenica 10.00 - 12.30 e 15.30-19.30

Contatti: info@ilsalottogenova.it 
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venerdì 11 gennaio 2013

Gioielli appena necessari

“Barely Necessary”, ecco il nome della linea di accessori di Bisley Bonino, genovese, classe 1980. L’esperimento creativo di Bisley nasce circa due mesi fa, quando decide di dedicarsi a tempo pieno alla creazione di orecchini e collane. La particolarità di questi ornamenti si ritrova nel materiale principe con il quale vengono lavorati: carta di libri vecchi. 
Incontro Bisley una domenica pomeriggio a casa sua, in una cucina-laboratorio che sembra uscita da un’illustrazione dei racconti di “Bosco di Rovo”. Il tavolo è cosparso di perline, gancetti e tantissima carta. Bisley mi mostra subito alcuni libri da cui provengono le pagine con cui lavora e mi spiega che “facilmente sono testi di legge o medicina ormai obsoleti – l’importante è che abbiano le pagine gialline.” Tre ore è il tempo medio che richiede la creazione di un paio di orecchini o di una collana, gli accessori su cui al momento è concentrata la produzione di Barely Necessary. Le fasi sono diverse, “una volta che si decide il libro le pagine vengono tolte completamente, tagliate a seconda della dimensione che si desidera e scelte in base al lato della pagina che si vuole mostrare. Successivamente i pezzi vengono pinzati insieme in una sorta di piccolo libricino e, in relazione all’effetto che si vuole, si sceglie la grandezza. Poi si comincia la piega e si riveste tutto in modo che ogni parte sia rifinita e divenga solida. Quando la piega della carta è già di per sé rigida non c’è bisogno di trattare il materiale. Nei modelli più delicati invece, come quelli a forma di conchiglia, la carta viene più volte immersa in acqua e colla in modo da rendere l’oggetto più resistente.”








Sono qui che cerco di immaginarmi tutti questi passaggi accompagnati da una manualità incredibile, lo studio delle forme e la creatività che c’è dietro ad ogni creazione Barely Necessary. Bisley crea i suoi gioielli di carta lavorando sempre su un concetto di originalità e cercando di mantenersi distante dal “già visto”. Molte forme e fantasie sono legate ai viaggi fatti in passato, ispirazioni tratte da luoghi che hanno permesso a Bisley di arricchire il proprio bagaglio culturale e creativo. Altre idee nascono semplicemente per caso: “I modelli colorati a cui mi dedicherò più avanti sono nati in seguito alla caduta di un mio orecchino di carta dentro un bicchiere di vino rosso, quando l’ho tirato fuori aveva preso un color vinaccia bellissimo, così ho fatto delle tinte adatte alla carta in modo da creare i modelli colorati in base all'effetto che voglio. Ho intenzione di proporre questi nuovi orecchini a Marzo, quando cominciano i mesi più tiepidi.” 

Chiedo a Bisley se sia effettivamente soddisfatta del suo lavoro e di come stiano andando le cose, considerando il momento storico in cui ci troviamo non è scontato riuscire da subito a decollare trasformando la propria creatività in lavoro. La risposta non si fa attendere, anche perché ci sono altri progetti in corso, come mi viene spiegato:“sono molto contenta perché ho l’impressione che quello che creo piaccia realmente, non che siano cose già viste. Indosso questi orecchini/collane anche in occasioni in cui ci sono persone nuove e spesso mi viene chiesto da dove vengano questi oggetti di carta, così ho l’opportunità di parlare di ciò che produco. Questo entusiasmo nell'accogliere la mia attività mi motiva ad andare avanti. In futuro potrei valutare l’idea di utilizzare anche carte-pelli diverse, in modo da avere effetti completamente nuovi.”












Per Bisley la carta resta comunque il materiale di base con cui lavorare, “sia perché si associa ad un concetto di fragilità sia perché si può giocare sugli effetti. E poi amo l’idea che non sia una cosa di fatto preziosa pur rimanendo interessante e particolare.” Particolare è anche il nome scelto per questa linea di oggetti, Barely Necessary, la cui traduzione è “appena necessario” - espressione che ironizza (nemmeno troppo sottilmente) sull'utilità di questi monili cartacei. Se il necessario è in questo caso opinabile, meno lo è la grazia che questi ornamenti possiedono. Pupi Solari a Milano ha già ceduto acquistando sei paia di orecchini Barely, in vendita in negozio. 

Non temete, ci sono fantasie per tutti, anche perché come mi ha detto Bisley “ogni volta, in questo lavoro, ti viene in mente un’idea nuova ed è una continua trasformazione delle forme.”

Trovate Barely Necessary in esposizione presso le fiere di:

Parigi 

Maison& Object 

Parc des Expositions de Paris Nord Villepinte 

18–22 Gennaio 2013 

Actuel – Hall 5B – Stand B35



Mosca 

LuxuryHITS 

Luxury & High Interior Trade Show 

International Exhibition Center Crocus Expo, Moscow 

21–24 Marzo 2013 

Pavilion 2 – Hall 9 

Info:

info@barelynecessary.it

www.barelynecessary.it 


https://www.facebook.com/BarelyNecessary

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